Sono moltissimi gli indizi che ci fanno intuire quanto la Grande Guerra sia stata uno spartiacque storico senza precedenti.
Fra questi anche aspetti paradossali quali la totale impreparazione ad affrontare un conflitto che avrebbe assunto toni apocalittici per l’Europa.
È oggi strano pensare ad esempio che sostanzialmente nessun esercito cominciò le ostilità dotato di protezioni individuali adeguate alle nuove macchine da guerra. A partire dal caso più eclatante ossia l’assenza totale di elmetti metallici efficaci.
Se si escludono i celebri pickelhaube (i classici copricapi in cuoio e a punta, simbolo della Prussia e poi del militarismo tedesco) i primi veri elmetti di guerra vennero a diffondersi soltanto a partire dal 1915 per poi svilupparsi in sempre diverse fogge e qualità per tutta la durata del conflitto.
Furono le evidenze dei combattimenti (e la constatazione delle ferite) a determinare la necessità di dotarsi di questi nuovi importanti dispositivi che, beninteso avevano efficienze e prospettive d’impiego diversificate.
Gli elmetti da fanteria erano pensati a sopportare schegge, sollecitazioni quali spostamenti d’aria causati dai proiettili d’artiglieria che esplodevano sopra le teste dei soldati e colpi di rimbalzo. Difficilmente potevano garantire la tenuta da una fucilata sparata da qualche centinaio di metri.
Per questo esistevano però elmetti diversi o dotati di particolari rinforzi; i già robusti elmetti tedeschi, i cosiddetti stahlhelm potevano all’occorrenza applicare rinforzi molto spessi e pesanti per la protezione dei soldati più esposti (chiamati stirnschild o stirnpanzer)
In Italia si sviluppò di contro, e fu il primo vero elmetto nazionale, il cosiddetto Farina un copricapo molto pesante con una calotta ovale in lamiera d’acciaio e anteriormente una falda composta da lamine di acciaio duro disponibile in due lunghezze (quella del modello Basso di 8 cm e quella del modello Alto di 12 cm).
Alto e basso cosa cambia
Il modello alto arrivava ad un peso di circa 2,25 Kg mentre il modello basso era intorno ai 1,8 Kg. Nei primi modelli non era previsto alcun sistema d’aerazione, perciò successivamente si applicò alla calotta in lamiera all’esterno delle falde di protezione permettendo così una migliore circolazione dell’aria. Anche in questi modelli successivi denominati “con aerazione” si trovano sia le versioni a falda anteriore alta che bassa.
Ai lati della testa, all’altezza delle orecchie erano fissati, con due ribattini, altrettanti riporti in lamiera cui era attaccato il soggolo in cuoio grigio verde con fibbia in metallo.
Il problema dell’aerazione fu risolto definitivamente con l’introduzione di una cresta tipo elmo Adrian che aveva la funzione di coprire un foro posizionato sulla sommità della calotta. Anche questa modifica venne effettuata sugli elmi di entrambi i modelli ma elmi del genere sono estremamente rari.
Un elmetto scomodo
Solitamente gli elmetti avevano un contro casco interno, una sorta di imbottitura che permetteva un migliore adattamento alla testa del soldato, per il Farina questo non era possibile, infatti, veniva indossato sopra al berretto da campo portato all’indietro, successivamente adottata una cuffia di stoffa trapuntata ed imbottita con crine di cavallo ed ovatta. In alcuni casi, venivano anche fissati due pezzi di caucciù all’interno della falda anteriore per migliorare la stabilità dell’elmo. Nonostante tutti i tentativi per migliorarne la vestibilità, il Farina rimane scomodo e pesante.
L’elmetto Farina venne impiegato sperimentalmente ad inizio guerra anche dai soldati di fanteria, tuttavia, oggi è associato alle squadre di guastatori, le nominate “compagnie della morte” che avevano il compito di rimuovere gli ostacoli passivi, come il filo spinato, dal campo di battaglia prima delle azioni della fanteria.
A causa dell’ingente peso e della scarsa possibilità di movimento che permetteva al soldato l’elmetto Farina fu ben presto sostituito dal modello francese Adrian molto più comodo e leggero.